Il mio lavoro segue il percorso del sole sulla terra. Immagino un sentiero di luce, il sole sempre più alto sul mondo, che a poco a poco, ora dopo ora, mi porta nelle vite dei miei studenti.
La mia mattina mi porta Liza dall’Australia. Lì è sera. Alle sue spalle una grande finestra sul mare. La luce lentamente si attenua mentre il vento dell’Oceano tra Australia e Antartide scuote le cime degli alberi.
Liza mi dice che nel suo giardino è arrivato un nuovo ospite, “un rettilo nuovo, un water dragon” mi dice e mi manda la foto di un’enorme lucertola che mangia una fetta di banana. Si unisce al carpet snake, al green tree snake e naturalmente ai goanna, a cui suo marito butta le uova sode nel giardino sul retro della casa.
Liza questa settimana stata a trovare Dorothy, mi racconta, una vecchia amica di sua madre che ha compiuto 102 anni, e le ha portato dei muffin. Dorothy ha voluto a tutti i costi preparare il caffè da sola e poi, insieme, hanno letto una vecchia lettera del padre di Liza. Anzi, Dorothy ha letto la lettera e ha raccontato di quando lei e i genitori di Liza erano giovani. Era molto contenta. Alla fine dell’ora è quasi calato il buio ma le cicale cantano ancora nel crepuscolo australe.
Il sole continua la sua strada e dopo pranzo ecco Julie, alle otto, ora di Washington. Giovane avvocatessa, laureata ad Harvard, padre lituano, madre russa, è nata in Israele ma parla con il leggero accento romano di quando ha fatto il liceo in Italia, prima di andare a vivere negli Stati Uniti.
E’ stanca. “Lavoro troppo!” mi dice. “Troppo cosa vuol dire?” le chiedo. “Eh, sto diventando troppo americana, lavoro tipo dodici ore al giorno!” Però ieri sera ha fatto una corsa lì intorno. “E’ bellissimo correre intorno al Congresso e Capitol Hill! Ho fatto tipo almeno quattro, cinque chilometri!”
“Hai portato anche Comet?” le chiedo. “No, Comet era a scuola, perché ieri hanno fatto dei giochi per San Valentino” mi dice ridendo. Comet è il suo cane.
Alle tre del mio pomeriggio di solito arriva Mr.Wood. Mr. Wood è tra i miei preferiti. Vive a Londra, ma di lui non so altro. So che vive con dei “famigliari” ma il resto della sua vita rimane un mistero. Durante le prime lezioni, lui seduto su una sedia di legno, lo sfondo alle sue spalle una stanza spoglia e un paio di scaffali disadorni. Il mio sguardo non sapeva dove posarsi mentre mi parlava di filosofi italiani che io non avevo mai sentito nominare e mi citava Sciascia o Pasolini.
“Suono il liuto arabo” vengo a sapere quando gli chiedo che musica preferisce. “Il liuto arabo?” gli chiedo, cercando di rimanere impassibilmente inglese. “Sì, prendo lezioni sull’Internet dal mio maestro iracheno”. Poi Mr.Wood sparisce per mesi. Si ripresenta in un’altra stanza: alle sue spalle ora c’è una magnifica libreria di legno scuro, una finestra in stile gotico vittoriano e al centro del monitor c’è lui, magrissimo e pallidissimo, seduto in una poltrona di pelle borchiata. Tossisce e mi dice che ha dei problemi alla schiena. Finiamo la lezione un po’ a fatica, parliamo del legno utilizzato per fabbricare gli strumenti musicali e, tutto contento, si decide a prendere il liuto arabo. L’ultima immagine che ho di Mr.Wood è lui, pallidissimo, seduto di traverso sulla poltrona in stile Chesterfield mentre suona il liuto.
Sulle cinque ecco Linda, appena sveglia, da Calgary, Canada. “Che tempo fa a Calgary?” le chiedo. “E’ molto freddo questa mattina, mi dice, fa 31 gradi sotto zero!” La guardo un po’ smarrita, anche se, ovviamente, so che in Canada fa freddo: “Ma cosa vi mettete per uscire con 31 gradi?” “Ah, ma io non vado fuori!” mi dice. E poi sta ristrutturando la cucina e deve aspettare Émile. Dopo aver un po’ cincischiato sulle parole giuste da usare, scopro che Émile è muratore, falegname, piastrellista, idraulico, elettricista. “Ma questo Émile è bravissimo, sa fare tutto!” le dico! “Oh sì, mi dice lei, senza di lui non posso fare la cucina!” “Ma è canadese Émile?” “Sì, ma viene da Croatia, anche se credo che sia nato qui.” E mentre mi immagino il lungo cammino di Émile, che, chissà perché nella mia testa indossa una camicia a quadri rossi da boscaiolo canadese, percorre le strade d’Europa fino alla costa atlantica, per poi imbarcarsi sul vapore che lo porta in Canada, cominciamo a parlare di Jugoslavia e del mio viaggio della maturità attraverso Croazia, Serbia e Macedonia fino in Grecia.
L’ultima della giornata è Tamar, da Israele. E’ al telefono, in videochiamata. Mi ha prenotato una lezione di prova ma ha fatto tardi al lavoro e si scusa ma non è arrivata in tempo a casa. Così facciamo lezione mentre guida tra Tel Aviv e Gerusalemme. Dal finestrino vedo le macchine che le sfrecciano a fianco. “Tamar, mi fai venire l’ansia!!” le dico, “non puoi fermarti un attimo?” “No, no, non preoccuparti! Sono attenta!” mi dice con un grande sorriso, “e poi sono abituata, tutti i giorni io guido due ore alla mattina e due ore alla sera per andare a lavorare”. “Cosa fai !!?? Guidi tutti i giorni per quattro ore?” “Sì, da sette anni! Ma tra due anni voglio vivere in Italia, mi piace tanto Italia!” “E perché ti piace Italia?” le chiedo mentre insieme sfrecciamo sull’autostrada tra centinaia di persone di ritorno dal lavoro verso le loro case israeliane, “perché mi piace tutto di Italia, la gente, la lingua, mangiare, vivere in Italia” mi dice sorridendo a trentadue denti. E quando il più giovane dei suoi tre figli compie diciotto anni lei vuole venire qui a vivere. Ha letto dodici volte “Mangia, prega, ama” mi dice, ma solo adesso ha capito il libro. “Hai letto il libro?” mi chiede, “No, mi spiace” dico. “Molto interessante, dice, ho capito tante cose con libro”. Alla fine arriviamo a Gerusalemme sane e salve.